Può darsi che sia ora di smetterla di parlare di cambiamento climatico. Nel senso che, forse, discutere di parti di CO2 nell’aria, di temperatura, in salita, di acidità degli oceani, ha un limite: le vedono in pochi, queste cose. Aggiungo che, parlando di cambiamento climatico in senso generale espone al rischio di infilarsi in discussioni un po’ frustranti con chi sostiene che non è vero nulla e che — come dimostra un grafico tirato fuori chissà dove — in una particolare località di un fiordo, in qualche momento del sedicesimo secolo la temperatura era più alta di oggi e, dunque, il riscaldamento globale è una bufala.

Forse, dobbiamo parlare soprattutto dei cambiamenti che stanno avvenendo, che in buona parte sono già avvenuti e noi ci siamo in mezzo. Terra bruciata lo fa benissimo. Stefano Liberti racconta il viaggio che ha compiuto attraverso i luoghi più colpiti d’Italia.

Viaggio che inizia con i ghiacciai alpini, il cui ritrarsi è davvero impressionante, anche intorno al re di quelle vette, il Monte Bianco. Liberti segue il corso del Po, sino al mare, dove l’acqua salata ha già conquistato considerevoli fette di terreno. Racconta Venezia che affonda: la storia di Anna e Gianni, che vivono a pianterreno, in questa città, è straordinaria, nel far capire cosa vuol dire, in concreto, affrontare i problemi legati al cambiamento climatico (anche se Venezia affonda non solo per via del mare che s’innalza, questo Liberti lo spiega benissimo).

Il libro racconta la forza distruttrice del vento Vaia, che ha cancellato boschi nel Triveneto. Liberti incontra gli apicoltori e i contandini che lottano contro la famelica cimice asiatica. Parla di come la Sicilia stia diventando un’isola tropicale e di come le grandi città affrontino il loro destino, che è quello di essere delle isole di calore.

È un libro che parla di lavoro, anzi, di come cambiano i lavori. Ci sono i lavori strettamente connessi all’emergenza climatica. Quelli di climatologi e fisici dell’atmosfera, che cercano di capire come vanno le cose. Quelli di chi cerca di arginarne le conseguenze, come il Chief Resilience Officer della città di Milano.

Ma c’è anche il lavoro di chi, agricoltore, si vede cambiare la situazione sotto gli occhi. E, allora, ha cominciato a coltivare manghi, avocado e altri frutti tropicali. La capacità di adattarsi non risolve certo il problema del cambiamento climatico, ma è necessaria, già oggi, e a breve diventerà indispensabile.

Qualcosa manca, nel libro di Stefano Liberti. Ma non perché lui abbia dimenticato di mettercela, ma proprio perché non c’è. Mi riferisco alle classe politica. L’Italia — Liberti lo ripete tante volte — è uno dei paesi al mondo che più subisce e più subirà le conseguenze del cambiamento climatico. Eppure è uno dei paesi dove i politici — e i media — ne parlano di meno. L’Italia è uno dei paesi dove è più forte il movimento di Fridays For Future, eppure, queste giovani e questi giovani sono senza interlocutori politici.

L’emergenza climatica non entra neppure nei dibattiti elettorali, cosa che invece sta avvenendo anche negli Stati Uniti d’America (se poi, oltre a entrare nei dibattiti influenzerà anche le scelte degli elettori, lo sapremo tra qualche settimana).

Una soluzione non esiste. Ci sono, piuttosto, una serie di cose da fare. Il libro di Stefano Liberti, parlando dei cambiamenti concreti che già sono in atto, mi sembra vada nella giusta direzione.